Creiamo "Altro"...

giovedì 18 luglio 2013

PREFERITE UNA COMODA BUGIA O UNA SCOMODA VERITA' ? di Anio Fusco Celado

Denuncio il carattere fraudolento della democrazia nella quale viviamo, smascherandola e definendola apertamente come la dittatura della classe che possiede il mercato in una società dominata dal mercato e dalle sue regole, quindi come la dittatura in forma apparente di democrazia dei produttori, o reali proprietari dei mezzi di produzione, su tutti coloro che le regole del mercato le subiscono anche solo come piccoli azionisti ma soprattutto come merce-della-forza-lavoro, ossia i proletari (salariati) ma anche i sottoproletari (cioè precari e discoccupati, potenziale forza lavoro di riserva e di ricatto nei confronti della forza lavoro “titolare”), e nei confronti dei lavoratori piccolo borghesi come gli artigiani, i commercianti al dettaglio, ecc.

La cosiddetta democrazia che le classi dominanti ci vogliono far intendere “non perfetta ma perfettibile”, è in realtà un inganno totale, e tale imbroglio diventa evidente se cominciamo ad osservarla bene da vicino, nella forma e nel contenuto.
Osserviamola allora: chi siede nei parlamenti occidentali?
Non certo operai o proletari o contadini o lavoratori in genere, ma sempre e solo i rappresentanti di classi e categorie sociali molto privilegiate, dai liberi professionisti ai professori universitari, dagli avvocati ai politici cosiddetti di professione, e tutti quanti sono spesso anche o imprenditori oppure presentano incestuosi conflitti di interessi con il potere imprenditoriale, multinazionale e finanziario.
Non solo, ogni democrazia si fonda sul consenso ottenuto da questo o da quel partito o movimento, ma quale sproporzione di potere reale (e di strumenti di pressione) esiste nella democrazia borghese tra i partiti che difendono gli interessi dei possessori di capitali e gli altri partiti difensori di interessi diversi (a volte solo in apparenza)?
La risposta è: enorme; smisurata sia per mezzi a disposizione (che in concreto significano proprietà di radio, giornali e televisioni), sia per organi capaci di orientare l’opinione pubblica attraverso molteplici forme di intrattenimento, tra cui la selezione e la diffusione “ad hoc” delle notizie è soltanto un aspetto marginale.

Oltre a ciò, concentriamo la nostra attenzione sul fatto che ogni democrazia rappresentativa borghese ha le sue leggi elettorali, ed i suoi sistemi istituzionali attuativi della “volontà del popolo sovrano”.
E qui veniamo davvero al punto, alla massima espressione dell’inganno: la privazione di istituti referendari propositivi, la mancanza di un quorum per le elezioni politiche in grado di rappresentare il voto di protesta dell’astensione (che in alcuni paesi supera di molto il 50% degli aventi diritto); la distorsione creata dagli immancabili appelli al cosiddetto “voto utile”, l’assenza di vincoli di mandato per chi assume la rappresentanza del mandato popolare (quindi libertà di tradire a piacimento le promesse fatte agli elettori senza conseguenze penali), la somiglianza tra partiti che non offrono vere alternative economiche; gli ostacoli insormontabili inseriti direttamente nelle Carte Costituzionali, la discutibilità intrinseca ai meccanismi di formazione delle maggioranze già evidenziata nel XVIII secolo dal marchese de Condorcet e conosciuta appunto come “Paradosso di Condorcet” (paradosso confermato poi dall’economista statunitense Kenneth Joseph Arrow, vincitore del Premio Nobel per l'economia nel 1972).
Tutte questi dispositivi distorcenti della volontà popolare, presenti in misura maggiore o minore in tutte le democrazie occidentali, contribuiscono a trasformare davvero la tragica frode ai danni della volontà popolare in una farsa, in una presa per il culo spesso evidente, e persino noncurante della propria evidenza.
La controprova? Sempre più il voto si lega alle personalità politiche e meno alle idee. E che decide quali persone debbono presentarsi al popolo nelle gare elettorali?
Ad un certo punto spunta un leader, sembra che questo leader sia stato scelto dal popolo, in realtà non è mai così, piuttosto è sempre abilmente imposto al popolo dall’alto, spesso da poteri occultati nell’ombra.
Questo candidato leader si presenta alle televisioni e recita il suo copione, deve ovviamente essere fascinoso e buon oratore, come se l'intelligenza politica e la capacità del buon governo fosse un concorso televisivo. Ma chi lo ha selezionato?
Di volta in volta emerge il leader più “bravo”, più capace, e ciò nasconde l’aspetto che deve rimanere in ombra, ed è l’aspetto essenziale: la buona politica non esiste, poiché essa non è una questione di bravura tecnica o di capacità, ma di scelte dolorose per una parte del popolo. La politica è la rappresentanza di interessi non conciliabili tra loro; non esiste politica in grado di accontentare tutto il popolo perché il popolo non è un ente monolitico indifferenziato, piuttosto il popolo si costituisce di tante fasce sociali con interessi contrapposti.
Nonostante la scomposizione ed ibridazione di classe delle società contemporanee, esiste ancora una netta differenziazione economica tra le classi sociali.
Così recita Wikipedia: “Il proletariato e i proletari costituiscono la classe sociale il cui ruolo, nel sistema di produzione capitalistico, è quello di prestare la propria forza lavoro dietro il compenso del SALARIO O STIPENDIO. Quindi il proletariato, secondo la più popolare accezione (di derivazione marxista) è la classe sociale di lavoratori dipendenti, privi della proprietà e del controllo dei mezzi di produzione e possessori di una sola merce da vendere: la loro forza-lavoro.”
Spesso l’ignoranza, purtroppo, tende a confondere la proprietà della casa in cui si vive, ad esempio, con il possesso dei mezzi di produzione, che sono altra cosa. Ed abilmente il capitalismo ha contribuito a mescolare le carte producendo enormi differenze di compenso tra proletari e proletari. Ma la sostanza indicata da Marx non muta (per quanto le sue indicazioni sulla lotta di classe debbano essere aggiornate): in molti paesi la stragrande massa delle persone vive con il solo stipendio, e questi compongono una classe sociale chiamata proletariato.

Esistono poi forme più subdole ma molto efficaci di condizionamento delle coscienze, le quali conducono all’accettazione del pensiero unico che non ammette alternative all’attuale sistema economico-politico.
Tali forme ipocrite, infide e dissimulatrici vanno dalle particolari caratteristiche di eventi sportivi di massa, ad altri “cliché” di distrazioni di massa attuati attraverso particolari prodotti dell’industria dell’intrattenimento, dai quali persino i prodotti della cosiddetta industria culturale non si discostano (Scuola di Francoforte docet).
Non solo, quindi, editori ed edizioni che non avrebbero alcuno scopo d’esistere se non quello di permettere il superamento della massa critica dell’offerta “culturale”. Offerta tanto vasta, superflua ed effimera da raggiungere facilmente lo scopo voluto: la confusione dell’utente, l’inadeguatezza del sentirsi cittadino a fronte di una sovrabbondanza di saperi specialistici, il senso di relatività delle proprie opinioni, il disorientamento da sofismo fino alla dissonanza cognitiva ed all’inerzia; ma anche strutture sociali e socializzanti organizzate (tra cui gli stessi sindacati dei lavoratori), finalizzate ad uno scopo ben preciso: intimorire, deprimere, sviare, inoculare la certezza dell’impotenza convertendo così al fatalismo della rassegnazione.

L’intero tessuto sociale di relazione è impregnato da strategie di cooptazione che hanno lo scopo recondito di prevenire, rendendo risibile o invisibile, ogni alternativa organizzativa all’attuale forma sociale del capitalismo globalizzato.
Molti aspetti iper-organizzativi, apparentemente felici della vita quotidiana, si prestano a questo strategia, la quale è stata messa a punto a partire dall’esperienza del periodo fascista italiano, in cui per la prima volta si sperimentò l’organizzazione capillare di eventi socializzanti, quali ad esempio le colonie balneari, ma non solo.
Tali fenomeni, prima inesistenti, hanno raggiunto il loro acme nella società giapponese, la quale ha conseguito da questo punto di vista il massimo dei risultati finora raggiunti.
Chi pensa che questa analisi pecchi di esagerazione paranoica, rifletta sulle seguenti parole di Avram Noam Chomsky, linguista di fama mondiale, filosofo filosocialista, teorico della comunicazione statunitense, professore emerito di linguistica al Massachusetts Institute of Technology, nonché padre fondatore della psicolinguistica: “Esiste un complesso sistema di filtri, sia nei mezzi di informazione che nel sistema scolastico, che alla fine garantisce che i punti di vista non conformistici siano annullati, o in qualche modo messi ai margini.” (Noam Chomsky, Capire il potere)
Non esiste, tuttavia, alcun grande fratello e nessuna regia occulta dietro ciò, non siamo poi così paranoici. Nessuno dirige dall’alto, se non in certi settori strategici dell’economia finanziaria, una tale complessa macchina di cattura del consenso popolare.
È il sistema capitalistico stesso che si difende in modo quasi automatico ed “istintivo”, come se avesse acquisito vita propria e travalicato le intenzioni della stessa classe sociale che lo ha generato, la borghesia; come se da sistema sociale ed economico si fosse trasformato in un moloch, un mostro o una sorta di virus che si trasmette con il denaro e non dipende più da nessuno, pronto a sacrificare il pianeta e l’intera specie umana pur di alimentare se stesso e riprodursi.
Ormai non è più la borghesia a possedere il sistema capitalistico, è il sistema capitalistico che possiede gli uomini e le donne che compongono tutte le classi sociali, che ne siano o no consapevoli.

Ora dovrebbe essere chiaro davvero a tutti che le democrazie odierne non sono affatto delle democrazie, piuttosto sono plutocrazie!
Cosa è una plutocrazia?
Il termine plutocrazia deriva dal nome latino di Plutone, dio greco del regno dei morti (Ade), considerato il più ricco tra gli dèi essendo proprietario del sottosuolo compresi tutti i giacimenti in oro, diamanti ecc.
Plutocrazia è quindi governo di chi è ricco, e nelle società a capitalismo avanzato si identifica (erroneamente) con la sola ingerenza nella vita politica di lobby, di poteri economici e finanziari in grado d'influenzare in modo determinante i rappresentanti del popolo ed i governi di uno Stato “democratico”.
In realtà, come abbiamo evidenziato sopra, tale caratteristica plutocratica è costitutiva di ogni forma democratica borghese, a prescindere dall’esistenza o no di gruppi economici di pressione (la democrazia borghese È un sistema fondato sulla pressione intollerabile degli operatori del mercato ad ogni livello).
La democrazia plutocratica nel suo complesso, quindi, è molto meno banale. Essa si perpetua attraverso forme complesse di dominio, riducibili per comodità a due. Quella positiva attraverso il cosiddetto plagio del consenso (informazione manipolata, compravendita dei voti, e tutte le altre forme di pressione che il potere ed il denaro permettono).
Quella negativa che impedisce a monte lo sviluppo delle capacità critiche dei “cittadini” (o sarebbe meglio dire sudditi?), tramite meccanismi di negazione per le masse dell’ accesso al diritto allo studio ed alla cultura, e dove questo diritto apparentemente esiste, attraverso lo “svuotamento” e reindirizzamento della cultura stessa tramite forme di sottacimento, falsificazione, convenzionalismo, relativismo, assoggettamento da autorevolezza artificiosamente creata all’adattamento acritico nei confronti dello status quo, il quale coincide sempre con l’interesse del libero mercato e quindi della proprietà privata.
Questa semplice verità veniva espressa da Antonio Gramsci in termini similari quando affermava che nella società capitalistica “la razionalità storicistica del consenso numerico” viene “sistematicamente falsificata dall'influsso della ricchezza” (Gramsci, “Quaderni del carcere”, Einaudi, 2001).

Abbiamo visto come il problema della strumentalizzazione ai fini del dominio di classe della democrazia da parte della borghesia ai danni del proletariato è ancora più profondo e sistemico rispetto ad un uso spregiudicato della ricchezza: ciò è particolarmente evidente nei sistemi democratici a caratteristica anglosassone, cioè a caratura bipolare.
In siffatte “democrazie” i due principali partiti che si rimpallano il potere sono fotocopie uno dell'altro, a distinguerli solo sfumature di grigio. Una democrazia in cui il popolo non può davvero scegliere tra alternative economiche diverse tra loro, in modo radicale, non è una democrazia, tout court, perché viene a mancare l’ingrediente principale per connotare una democrazia come tale, ossia la possibilità del cambiamento discendente da un mutamento della volontà popolare.
Altro trucco messo in campo dal sistema capitalistico è stato quello di far coincidere la genuina democrazia con la libertà, e non con quello che il popolo vuole e decide in maggioranza, magari anche contro la libertà di se stesso.
Se il popolo scegliesse di sacrificare la libertà economica in nome della sicurezza sociale, ad esempio, non potrebbe farlo. Eppure, in una vera democrazia questa volontà diverrebbe automaticamente legge inviolabile.
La democrazia Statunitense, invece, che si considera a torto la più alta espressione della democrazia al mondo, permetterebbe mai al popolo statunitense di scegliere più sicurezza sociale e meno libertà economica?
In teoria forse, ma in pratica no, perché i due soli partiti che si rimpallano il potere in quel paese mai toccherebbero la sacralità (per loro) della proprietà privata. Non solo, è il sistema “democratico” americano stesso il campione del fraintendimento ad arte tra democrazia e libertà.
Democrazia significa governo, potere e decisionalità del popolo, non coincide affatto con la libertà.

La riprova è che negli Stati Uniti non cambia e non cambierà mai nulla di sostanziale, Obama di recente ha partorito una riforma sanitaria che non è neppure l'ombra di quella italiana fatta negli anni settanta, e non è degna neppure di allacciare le scarpe al sistema sanitario cubano, che è tra i migliori al mondo.
Eppure la salute è il diritto primario dell'uomo, senza il quale non ne esistono altri, e mi riesce difficile immaginare un popolo che sacrifica la propria salute a vantaggio di qualsiasi altro diritto materiale.

La dimostrazione logica più evidente che le democrazie in cui viviamo sono false, compresa quella britannica e statunitense, sta proprio nel fatto che tali democrazie affermino a voce alta questa "verità", cioè dicono di se stesse che sono vere democrazie. L'incensamento autoreferenziale è sempre ridicolmente scollato dalla realtà, come nel caso del pazzo o dello sbruffone, ma è anche un interessante aspetto della logica formale, come nel caso dei paradossi autoreferenziali di Bertrand Russel che misero addirittura in ginocchio la matematica.
Ciò la dice lunga sulla effettiva validità di tale sbandierata autoasserzione delle cosiddette "compiute" democrazie occidentali, e dovrebbe molto allarmarci in quanto qualsiasi sistema logico, anche di tipo politico, se è genuino e coerente (per quanto incompleto) allora è anche in grado di mettersi in discussione, di indagare con lealtà autoreferenziale i propri fondamenti di legittimità, affrontando quindi alla radice i propri paradossi e le proprie contraddizioni.
Non mi pare che le nostre care "democrazie" siano in grado di fare tutto ciò, piuttosto sono attraversate da certezze incrollabili sulla legittimità assoluta dei propri fondamenti, manifestando nel contempo addirittura pretese di completezza (o in atto, o prima o poi raggiungibile).
È stato Kurt Gödel, il più grande logico dopo Aristotele, a dimostrare in modo inoppugnabile quanto tale atteggiamento sia falso tramite i suoi famosi “teoremi di incompletezza” dei fondamenti dei sistemi matematici. Per la estensibilità di tali teoremi dalla matematica a molti altri sistemi, anche sociali, leggere di Piergiorgio Odifreddi "La metamorfosi di un teorema". (AFC)



L'uguaglianza tra persone disuguali è la peggiore delle ingiustizie...dato che l'uguaglianza dei diritti è un valore irrinunciabile, allora l'unica strada percorribile è l'azione propositiva tesa ad aumentare i diritti dei più svantaggiati e deboli...come nell'immagine sotto. Nelle società attuali succede esattamente l'inverso, i diritti dei più forti sono rispettati. maggioremente. 

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